A due anni dalla fusione con HERA s.p.a. avanza il processo di privatizzazione del servizio idrico cittadino.
Bitonci-Zanonato, sintonia perfetta.
La pratica è ormai oliata, addirittura incoraggiata, meglio imposta dai vertici istituzionali. Il primo cittadino di Padova, Massimo Bitonci, annuncia l’intenzione di mettere sul mercato il 18,82% (vale a dire 13 e passa milioni di azioni, quelle escluse dal sindacato di blocco) del pacchetto azionario Hera di proprietà del Comune (cioè nostra, di tutti i cittadini), dal quale spera di incassare intorno ai 25-26 milioni di euro, sempreché la quotazione di borsa del titolo della chiacchieratissima Hera s.p.a. resti invariato (2,024 €). Esito, come si diceva, scontato, da quando il governo in carica con il d.d.l. Stabilità 2015 (art.43) ha esonerato dal patto di stabilità interno le spese per investimenti degli Enti locali finanziate coi proventi delle dismissioni totali o parziali delle proprie partecipate. E visto il taglio inferto ai trasferimenti statali agli Enti locali c’è da giurarci che l’operazione Bitonci andrà in porto.
Di cosa stiamo parlando? Di una ulteriore mazzata alla possibilità di noi cittadini utenti dei servizi pubblici locali (acqua, in primis) di esercitare un controllo reale su beni così essenziali alla vita della nostra comunità, i quali, nonostante i vittoriosi referendum del 2011, risponderanno sempre di più a logiche di mercato e di profitto.
Esito che il Comitato Prov. 2 Si Acqua Bene Comune di Padova, aveva largamente previsto fin dall’estate del 2012, quando, inascoltato, lanciò in città l’allarme contro l’operazione di fusione per incorporazione di Acegas Aps Holding s.r.l. (la finanziaria che consentiva ai Comuni di Padova e Trieste di controllare Acegas Aps s.p.a.) in Hera s.p.a. (la multiutility emiliana con solidi interessi nel settore dell’incenerimento dei rifiuti), fortemente voluta dall’ex sindaco Flavio Zanonato e dalla sua giunta. Un’operazione che si consumò nell’arco di tre mesi secondo la tempistica dettata dai C.d.a. delle due società e costruita sulla più completa disinformazione dei cittadini-utenti, al punto che anche la mozione di sospensione della delibera consiliare pro-fusione avanzata dalla consigliera Ruffini (PRC) la sera del 24 settembre 2012 venne incredibilmente respinta!
Cosa si voleva nascondere?
Che quella operazione equivaleva, appunto, a una privatizzazione strisciante di acqua e servizi pubblici locali, vale a dire un trucco per aggirare l’esito referendario, consentendo l’ingresso in massa dei privati nella costituenda super-multiutility, formalmente ancora in mano pubblica. Big player del c.d. risiko delle municipalizzate (secondo la road map del duo Passera-Monti), doveva essere Fondo strategico italiano (Fsi), controllato da Cassa depositi e prestiti (Cdp) -a sua volta in mano per il 70% al Ministero del Tesoro e per il restante 30 alle Fondazioni bancarie- pronto a buttare sul piatto di Grande Hera 80-100 mln (di aumento di capitale), ricevendo in cambio una quota di circa il 4%. La sua mission? Agevolare la dismissione delle aziende di proprietà dei Comuni che svolgono servizi pubblici locali e/o acquisire le quote di partecipazione dei più piccoli sempre affamati di liquidità. D’altra parte, scavando solo un po’, troviamo nella newyorkese McKinsey (ossia il colosso che ha orientato la finanza mondiale negli ultimi 100 anni), nelle sue consulenze a sei zeri (Cdp ne è praticamente dominata), lo stratega occulto di questa come di tante altre operazioni analoghe.
Così, a smentire le ricorrenti, rassicuranti dichiarazioni degli immancabili corifei delle fusioni (“rafforzerà la società e la renderà più grande e competitiva senza per questo lasciarla in mani private…”) c’è la continua erosione delle quote di partecipazione dei soci pubblici: ad es. il comune di Bologna è passato dal 19% del 2005 al 12,11 post-fusione Acegas, per sprofondare al 9,73% attuale. E l’emorragia continua.
E Padova? Il concambio azionario (vale a dire il numero di azioni che l’incorporante riconosce all’incorporata in cambio delle vecchie azioni possedute) le attribuì 71.546.945 azioni della nuova Hera, vale a dire, il 4,8% (più un premio di 1,7 mil. di euro). Un bel tonfo per chi, prima della fusione, insieme al Comune di Trieste, deteneva, tramite la finanziaria di famiglia (l’incorporata Holding), esattamente il 62,69% del capitale sociale di Acegas Aps s.p.a.!! E oggi Bitonci completa l’opera: con l’alienazione di 13.468.642 azioni, quelle fuori vincolo, la partecipazione del Comune calerà al 3,89%. Come a dire, quando si tratta di far cassa non c’è colore politico che tenga… e il tanto agito slogan “padroni a casa nostra” si invera nel suo contrario: se prima già poco contavano, di questo passo i padroni conteranno in Hera (e, di riflesso, in Acegas) meno dei maggiordomi! Tant’è che il Partito Democratico, ora all’opposizione, non è (ovviamente) contrario alla vendita ma lamenta solo il riserbo dell’amministrazione in carica nell’esplicitare chiaramente il destino dei proventi dell’operazione. E il patto di sindacato scade a fine anno (31/12/2014). Cosa accadrà dopo possiamo immaginarlo. Ferrara e Forlì hanno già annunciato di volersi sfilare mentre in ambienti bene informati si parla di un probabile abbassamento della soglia al 35%. !!
Ma, al di là di cifre, percentuali e concambi (a saperli leggere sempre istruttivi), è evidente che quando il servizio idrico è gestito da società per azioni (s.p.a.), per di più quotate in borsa come Hera o la stessa AcegasAps (già prima della fusione), parlare di maggioranza pubblica del capitale sociale (o di sindacato di blocco che vincola il 51% del capitale sociale) per sottintendere indirizzi gestionali coerenti con gli interessi delle comunità cui quel servizio è rivolto è pura falsità. Perché la mission di queste società (pubbliche, private o miste che siano) non è l’equità del servizio, la riduzione degli sprechi di acqua e della produzione dei rifiuti, la salvaguardia della salute dei cittadini e dell’ambiente etc. ma, viceversa, l’appetibilità del proprio titolo sul mercato azionario (di rischio) garantita dalla distribuzione puntuale dell’immancabile utile, costi quel che costi (e talvolta questi possono essere davvero mostruosi, come ci rivela la scandalosa inchiesta di Report del 16 novembre u.s. su Rai Tre). Utili ai quali i soci pubblici non sono meno sensibili dei privati. Così, i veri padroni della società non sono i piccoli o grandi Comuni azionisti, in perenne conflitto di interesse, ma gli strapagati manager che la dirigono, sempre pronti a dare ai soci quel che i soci chiedono… e per fare questo si indebitano sempre di più, tanto paghiamo noi non loro. Il debito miliardario che affligge Hera non è purtroppo un caso isolato: la presenza del pubblico in queste multiutility serve per privatizzare gli utili e pubblicizzare le perdite.
Ecco perché ricondurre in mano pubblica, vale a dire ad una gestione realmente democratica e partecipata acqua e s.p.l. (come trasporti e rifiuti) vuol dire innanzitutto eliminare il profitto dalla tariffa -come sancito dal 2° quesito referendario- e prefigurare per questi beni una forma gestionale come l’azienda speciale consortile di diritto pubblico. Si tratta di due condizioni inscindibili e imprescindibili, chiaramente enucleate nella legge di iniziativa popolare (Lip) del Forum Italiano dei Movimenti per l’acqua.
Se il sindaco Bitonci volesse davvero rispettare la volontà che i suoi cittadini espressero il 13 giugno 2011 (quando, a stragrande maggioranza, si pronunciarono per la ripubblicizzazione di acqua e s.p.l.) dovrebbe riconsiderare la sua scelta e valutare, seriamente, l’ipotesi di scorporare il servizio idrico da Hera per ricondurlo sotto la piena sovranità della sua comunità (non quella “farsa concessa” da Zanonato per avere il voto di SEL al momento della citata fusione). Opponga in seno all’assemblea di Bacino Bacchiglione -insieme agli altri 11 sindaci dei comuni serviti da AcegasAps- il fermo no dell’amministrazione al truffaldino Metodo tariffario idrico (MTI) dell’Authority dell’energia il gas e il servizio idrico (AEEGSI) che, in barba ai referendum, ha reinserito il profitto nella bolletta dell’acqua, sì da far lievitare la stessa dal 2012 a oggi del 20,7% con un incremento annuo del 6,5%. Perché truffe come quella dei rimborsi della mancata depurazione delle acque reflue, portata alla luce dal Comitato padovano, non abbiano più a verificarsi; perché gli utenti del s.i.i. non debbano continuare all’infinito ad autoridursi la bolletta dell’acqua della componente di profitto (21% ) eliminata dai referendum (campagna di Obbedienza Civile) in risposta all’insipiente e arrogante atteggiamento del gestore (AcegasApsAmga) e di tanta parte della classe politica, nazionale e locale, incapace di rispettare la loro volontà.
Perché… si scrive acqua, si legge democrazia.
a. p. – g. s.